FATTORI MANIFESTI E IMPLICITI NELLE RELAZIONI DI COPPIA
Una delle cause principali delle crisi di coppia è indicata, in genere, nelle difficoltà di comunicazione tra i partners.
Percezione di essere ascoltati poco, insoddisfazione per il non vedere soddisfatte le aspettative che si hanno sulla coppia o sull’altro, paura di abbandono, bassa autostima, e tanti altri fattori, vanno ad influire sul modo con cui comunichiamo con l’altro all’interno di una relazione.
Sia nel come trasmettiamo all’altro i nostri messaggi, sia nel come traduciamo i messaggi che ll’altro ci invia.
Insomma creano un filtro che distorce la comunicazione generando incomprensioni e insoddisfazioni al posto di risoluzione e chiarimento.
Quando la comunicazione presenta simili problemi, si innescano dei circoli viziosi che pian piano logorano il rapporto di coppia.
Tuttavia moltissimi terapeuti si fissano su questo aspetto, che non è l’unico, e spesso non è neanche quello principale.
Come per ogni cosa ci sono dei fattori espliciti e dei fattori impliciti.
Ovverosia fattori più evidenti e fattori meno evidenti, che soggiacciono dietro i primi e che sono un motore nettamente più forte nel favorire il successo o il fallimento di una relazione.
Tra questi fattori potenti vi sono la capacità dell’individuo di mettersi in discussione davvero e i rapporti di potere all’interno della coppia.
Infatti, ogni tentativo di aggiustamento di tiro all’interno di un rapporto di coppia ha come limite quanto i due membri siano capaci di venirsi incontro e siano disposti a correggere non solo l’altro ma anche se stessi.
Non di rado può capitare che uno dei partner, se non tutti e due, sia disposto a modificare solo la superficie senza andare a modificare il nucleo del problema e chiede e all’ altro di mettersi in discussione molto di più di quanto faccia lui/lei.
In questo tipologia di situazioni possiamo individuare persone con limitate capacità di mettersi in gioco in quel periodo specifico di vita, e di questo non sono accusabili.
E persone che esplicitamente chiedono all’altro di cambiare molto più di quanto siamo disponibili a cambiare se stesse.
Capiamo che ci troviamo di fronte due livelli di complessità e di gravità molto diversi.
Poi ci sono i rapporti di potere.
Il cosiddetto Sistema Motivazionale Sessuale e di Coppia funziona bene e si rigenera da crisi quando i due membri hanno entrambi un potere similare all’interno della coppia.
Cioè quando i due partners si sentono e agiscono come una squadra unita che condivide davvero le scelte, e non quando uno decide per tutti e due.
Non va bene neanche quando nelle scelte condivise uno dei due abbia un peso di scelta e decisione eccessivamente maggiore rispetto all’ altro.
Un dislivello di potere manifesta un rapporto completamente sbilanciato, dove in maniera piuttosto fissa uno guida e l’altro segue.
A volte, per un periodo questo meccanismo può funzionare perché uno ottiene quello che vuole e si sente rassicurato dalle sue paure grazie alla sensazione di avere il controllo della situazione, mentre l’altro non vive le difficoltà di prendere decisioni nette con l’ansia che ne può derivare.
Nel lungo periodo, però, genera malessere in entrambi.
Infatti, il partner impositivo con il tempo sentirà troppo debole il proprio compagno e non sarà soddisfatto/a di lui, mentre il compagno/a meno potente nella coppia sentirà che vige una richiesta costante di sacrificare i suoi bisogni e le sue aspettative in modo più intenso rispetto a quanto non faccia il compagno/a.
Si verrà a generare, come naturale conseguenza, in lui/lei un sottofondo continuo di rabbia e senso di ingiustizia, che lo porterà ad esplodere in maniera incontrollata, facendolo passare agli occhi dell’altro come un esagerato e quindi una persona ancora più debole (senza che noti quanto il dislivello di potere a suo favore contribuisca al meccanismo disfunzionale).
Ecco, quindi, che vedere i rapporti di potere all’interno della coppia e le disponibilità a mettersi realmente in discussione risultano elementi molto più importanti dell’ analisi della comunicazione (che resta comunque importante).
Infatti, si può aiutare a modificare in meglio la comunicazione, ma se non vengono toccati questi due fattori impliciti, anche una comunicazione più sana e assertiva funzionerà per poco tempo, oppure verrà usata anch’essa come forma manipolativa.
Come strumento per mantenere e rinforzare il dislivello di potere a favore di uno dei due in una modalità ancor più nascosta.
Ancora una volta bisogna scavare più a fondo della superficie e seguire quanto indicato dall’Apollineo Conosci Te Stesso.
la rabbia, un’esplosione emotiva
La natura potente e dirompente di questa emozione primaria ha portato la moderna psicologia a sperimentare e individuato varie tecniche per contenerla in modo efficace.
Esse sono risultate assai utili per ridurre i momenti di picco, ma molto meno nell’estinzione di tendenze rancorose se successivamente non si ascolta il messaggio che quella rabbia ci sta portando.
Perché le emozioni sono un linguaggio!
Filologicamente più antico di quello razionale, più istintivo, più automatico.
Ma un linguaggio del tuo essere, che ti avverte o ti chiede qualcosa.
Di conseguenza, se ci limitiamo solo a diminuire l’intensità della rabbia provata senza comprendere cosa ci stia dicendo, non faremmo il nostro bene.
Il bisogno per cui si è attivata permane, e troverà altre vie per farsi sentire.
Insomma, cadremmo nell’errore di inibire una emozione spiacevole, che, tuttavia, resterebbe attiva dentro di noi, pronta ad esplodere nuovamente o a emergere in maniera più sottile in tutto quello che facciamo o diciamo.
Forse noi non ce ne accorgeremmo neanche, ma i nostri interlocutori si, allontanandosi da noi per il ripetuto disagio che provano nello starci vicino.
Ma cosa ci chiede la Rabbia?
Essa è un’emozione che si attiva in risposta alla percezione di un aggressione o a una mancanza di rispetto dei nostri confini.
Se in epoche passate prevaleva come risposta ad un’aggressione fisica (una belva che ci assale, un nemico che ci vuole uccidere) o una violazione di confini concreti (un’invasione dei nostri campi coltivati, del nostro territorio), oggi è più frequente che risponda a violazioni psicologiche o di status sociale (qualcuno che ci manca di rispetto, che ci sminuisce, che ci manipola psicologicamente, ecc.).
Il suo messaggio, quindi, è quello di tutelare te stesso e i tuoi confini psicologici di fronte stuazioni percepite come minaccia al proprio Io personale.
Se, per esempio, vivo una situazione di lavoro disfunzionale dove vengo sminuito e svalorizzato non basterà diminuire l’intensità dell’emozione per risolvere il problema, ma sarà necessario trovare soluzioni che mi tutelino e valorizzino in quel contesto.
Così si risponde al messaggio di aiuto che tramite la rabbia il tuo mondo interno ti stava inviando.
Anzi, impiegata come forza propositiva nell’agire le soluzioni trovate per rendere sana la situazione disfunzionale, la rabbia si rivela un ottimo alleato.
Allora le tecniche per ridimensionarne le forme estreme acquisiscono senso come “abbassa l’eccesso così non agisci avventatamente e incanala questa carica forte nel realizzare davvero il miglioramento”.
Diventa un potere che nutre la determinazione e la motivazione a cambiare in meglio ciò che non va.
Ascoltando il messaggio che ci porta e prendendosi carico di quanto richiesto si risponde alla chiamata dell’Apollineo “Conosci te stesso”.
SUL NARCISISMO
Sui social dilagano da qualche tempo video e post che affrontano il tema del narcisismo patologico.
Ovverosia quel tratto di personalità in cui l’individuo è concentrato a esaltare e sostenere un’immagine grandiosa di sé stesso.
Un continuo rinforzo al proprio ego, che nel profondo, invece, è assai fragile.
E lo fa a discapito del prossimo, a cui infligge svalutazioni e giochi di dominio psicologico, alternando a queste modalità malsane momenti di grandi attenzioni e manifestazioni affettive.
Un meccanismo manipolatorio che crea dipendenza per le forti emozioni che suscita.
La vittima, infatti, prova momenti di grande piacere e momenti di grande dolore, momenti di amore idealizzato per il carnefice, e momenti di odio e disperazione…
E, come nel caso della tossicodipendenza, nei momenti di sconforto e malessere diventa disposto a tutto per ottenere dal carnefice brevi momenti di intimità e di affetto.
Si attiva un meccanismo di dipendenza affettiva che il narcisista sfrutta sapientemente finché può.
Tuttavia, quando la vittima riesce a ritrovare una dose di amore per sé stessa e comincia a cascare meno nelle trappole psicologiche del carnefice, questi velocemente la abbandona per inseguire una nuova potenziale fonte di rinforzi al proprio ego, cui infliggere lo stesso gioco da capo.
C’è da chiedersi, dunque, come mai negli ultimi tempi si sia cominciato a parlarne tanto.
In primis, sicuramente perché in una società come quella attuale in cu non viene coltivata l’empatia ma, al contrario, l’individualismo sfrenato e la competizione questo tratto si è diffuso in modo maggiore rispetto ad altri periodi.
Viviamo, inoltre, in un periodo di incertezza sociale, economica e relazionale, per cui si è diventati più sensibili a certi temi. Si vuole, cioè, maggiormente capire quali siano le dinamiche relazionali disfunzionali che si incontrano al giorno d’oggi.
E, inoltre, perché molti pazienti non vengono in terapia per modificare sé stessi, ma per trovare sollievo e colpevoli esterni.
Scoprire di essere stata/o vittima di un/a narcisista patologico permette di scaricare tutte le responsabilità, o comunque la grande parte, su di esso/a.
Quando nella nostra narrazione interna siamo le vittime innocenti o gli eroi che hanno avuto a che fare col mostro, la nostra psiche si sente soddisfatta e stiamo meglio.
E in questo modo alcuni terapeuti ottengono in modo rapido un miglioramento dell’umore del paziente.
Tuttavia un bravo terapeuta dovrebbe rendere consapevole il paziente non solo del fatto che ha avuto a che fare con un narcisista grave, e con quali metodi manipolatori ha esercitato potere su di lui/lei
Non solo aiutare a trovare controrisposte adeguate qualora ci si ritrovi nuovamente a che fare con questo tipo di individui.
Dovrebbe anche mettere il focus sulle debolezze e i bisogni insoddisfatti interni all’individuo per cui è caduto nella trappola.
Insomma, porre il focus non solo su quanto sia stato colpevole il narcisista, ma anche sul perché il paziente sia diventato una sua vittima, dato che i narcisisti patologici tendono a scegliere individui che percepiscono essere adatte ad entrare nel ruolo di vittima.
In questo modo, la terapia non insegna solo a riconoscere e a proteggersi dal narcisista, ma anche promuove un miglioramento profondo del richiedente aiuto.
Ma poiché mettersi realmente in discussione costa fatica e significa avere il coraggio di guardare in faccia ciò che non ci piace di noi stessi, e non tutti i pazienti sono disposti a farlo, allora puntare sulla colpevolezza assoluta del narcisista diventa una via comoda per paziente e terapeuta.
Questa disposizione a mettersi in discussione e fronteggiare i propri limiti, oltre quelli altrui, ci riconduce all’ Apollineo “Conosci Te stesso”.
VOLERE È POTERE?
- “La volontà non può superare i limiti della sfera psichica; non è in grado di costringere l’istinto, e non ha potere sullo spirito.”
C.G. Jung
- “Non il volere, ma la consapevolezza è potere. Eppure l’uomo contemporaneo, pur di mantener viva questa fede, paga lo scotto di una grave mancanza di introspezione”.
Roberto Assagioli
La volontà agisce bene quando è guidata dalla consapevolezza.
Altrimenti è uno sforzo fine a se stesso dai risultati spesso deludenti.
Non basta la volontà per cambiare qualcosa che nella propria vita non sta funzionando bene.
Bisogna prima comprendere quali siano i punti disfunzionali dentro di noi e nella situazione esterna che ostacolano il raggiungimento dell’obiettivo che ci siamo dati.
Poi bisogna avere chiaro anche dove e come agire per riuscire ad operare un miglioramento effettivo.
Non di rado anche l’obiettivo stesso deve essere reso ben consapevole e realistico, in quanto può capitare che si voglia raggiungere qualcosa di non ben definito o ideale.. E ciò che è vago o idealizzato difficilmente si può rendere concreto, realizzabile.
Una volta giunti a questa consapevolezza possiamo applicare la volontà sugli sforzi e sui passi che la consapevolezza ci ha indicato.
Allora essa riesce a sortire degli effetti reali.
Facendo un esempio semplice, con la volontà non possiamo trasformare una mela che teniamo in mano in un limone.
Possiamo sforzarci e mettere tutto il volere che abbiamo, la mela resterà mela.
Ma quando acquisiamo la consapevolezza che in frigo abbiamo un limone, usando la volontà andremo ad aprire il frigorifero, a poggiare la mela e a sostituirla con il limone.
La volontà resta, pertanto, importante mezzo d’azione, fondamentale, ma non l’elemento primo.
Il motto “volere è potere” risulta un mito illusorio e fuorviante. Esso andrebbe sostituito con un più realistico “La volontà guidata dalla consapevolezza è potere”.
Concludendo questo piccolo spunto di riflessione si può dire che ogni miglioramento richiede come base imprescindibile un processo, piccolo o grande che sia, di ampliamento della consapevolezza. E di applicare, poi, una certa dose di volontà per perseguire il percorso che la consapevolezza indica.
Un ampliamento che rientra nell’Apollineo “Conosci Te Stesso”.
ALLARME PSICOFARMACI
Allo stato attuale, se viene considerata la proporzione tra popolazione e quantità di assunzione procapite, l’Italia è attualmente il SECONDO PAESE AL MONDO per uso di psicofarmaci.
Un dato allarmante!!!
Un segnale di quanto il disagio psichico sia diffuso.
Ma anche della preoccupante tendenza di proporre la via facile per superare un disagio: prendere una pillola senza ascoltare il significato di quel disagio, talvolta omettendo di informare quanto essa crei dipendenza psichica e fisica.
Un modo con cui si evita di mettere in discussione la via preoccupante intrapresa dalle società odierne.
La perdita di significato e di dignità dell’essere umano, ridotto a consumatore con sempre meno diritti cui si vendono sogni appariscenti, superficiali e incapaci di nutrire il suo mondo interiore.
Una modalità che evita anche di ascoltare il messaggio che quel disagio vuole consegnarti.
Perché il disagio, spessissimo, ti vuole segnalare che qualcosa non sta andando come deve nella tua vita.
Quella richiesta di aiuto che la parte più autentica di te ti invia chiedendoti di operare un cambiamento benefico.
All’Apollineo “Conosci Te Stesso” è stato sostituito un pericoloso “fuggi da te stesso”, sia individuale che collettivo, sia sociale che politico.
“Stordisciti e non sentire la realtà”.
Dott. Ivan Alibrandi